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Messaggio: gli auguri del Vescovo

“Nel Natale di Gesù la radice di ogni nostro rinascere”

Per il Natale 2021, vi auguro di diventare voi stessi un augurio di Natale. Un augurio è l’espressione del desiderio che alla persona a cui viene rivolto accada qualcosa di bello (non voglio nemmeno prendere in considerazione auguri di male…). Ci auguriamo, quindi, semplicemente di passare bene la festa del Natale. È già molto, ci sembra quasi difficile da esprimere in tempi così complicati come i nostri, soprattutto se incontriamo persone che in vario modo vivono la precarietà dell’esistenza a causa della malattia, della solitudine, di qualche difficoltà o crisi familiare, sociale, economica. Sentiamo, a partire dalla nostra fede, che quello che si festeggia è veramente importante, e quindi desideriamo che il contenuto celebrato possa riverberarsi sull’esistenza di chi lo festeggia. A volte ci basterebbe un po’ di serenità e di quiete. Ma no, non basta ancora. Allora desideriamo per gli altri che i loro desideri più cari possano realizzarsi in quel giorno. Auguriamo in fondo che accada qualcosa che scaldi il cuore, che dia luce e calore, che regali alla vita un colore e una musica carichi di affetti, di pace, che aprano al sorriso le persone care, soprattutto quelle più provate dalla vita. Poi ci diciamo subito che la pace e la gioia non possono limitarsi ad un giorno solo.

Qualcuno ne trae la conseguenza di rinunciare del tutto agli auguri.

Andiamo invece avanti. Andiamo in profondità del nostro desiderio di bene, per noi e per gli altri. Andiamo alle radici della possibilità di questo bene: il Signore Dio prende parte alla nostra vita, diventa uno di noi, il bambino Gesù, l’uomo vero. Lui prende le nostre parti. Quelle dello scartato, del debole, del piccolo. Quelle di ciascuno di noi, di tutti. Non ci lascia più da soli, ci sostiene, ci accompagna, ci guida. Si dona. Diventa dono. Abbandonato in croce, abbraccia tutti. Risorto è veramente presente, per sempre, e apre la vita all’eternità. Lui si fa Natale, Lui si fa dono, Lui assume e realizza ogni desiderio. Lui è garanzia, fonte e meta di ogni augurio. Se metto il mio desidero di bene per chi riceve i miei auguri nel cuore del Signore Gesù, Lui è caparra di ogni mio augurio. Ed è Lui che raggiunge l’altro nel mio augurio, che non è più soltanto una formula consueta, ma diventa parola vera, che sgorga dal cuore.

E l’augurio non è più nemmeno soltanto parola, ma respiro dell’anima che mette in moto la mia disponibilità, il mio cuore e le mie mani, la mia fantasia e tutto il mio desiderio per vedere realizzato il tuo desiderio di bene.

E troverò il modo, magari semplice e discreto per farmi presente, veramente persona con te, con tutti, affinché ti possa accadere davvero qualcosa di bello, un’emozione, una luce calda, un sorriso nuovo ed insperato.

 

Nel Natale di Gesù di Nazareth, il Cristo, vero Dio e vero uomo, ci sia la radice di ogni nostro rinascere, ci sia il motivo di ogni sorriso, di ogni aiuto, di ogni gesto piccolo o grande di fraternità, ci sia il desiderio che si realizzi ogni desiderio di bene.

Auguro a noi tutti che possiamo diventare un augurio vero, incarnato.

Buon Natale!

“Viviamo l’estate come un tempo di Chiesa, un tempo di cura reciproca, di racconto e di ascolto”: lettera del Vescovo

Ai fedeli della Diocesi di Treviso

Care sorelle e cari fratelli in Cristo,

non avete certo bisogno che vi scriva per dirvi che viviamo in un tempo difficile e strano. Riceviamo e ricevete tanti messaggi, tante riflessioni. Alcuni ci fanno molto bene, altri meno, altri ancora niente affatto.

Non è ancora il tempo di bilanci. Non so e non voglio ancora dare indicazioni, linee guida, programmazioni.

Vi chiedo di fidarvi di Gesù Cristo.

Che è stato crocifisso.

Che è risorto.

Che vive, ci ama e non ci abbandona.

Questa nostra vita è mistero. Forse ci eravamo sinceramente illusi di averla in mano, di poter superare prima o poi tutti i limiti della nostra condizione umana. Se solo avessimo avuto tempo a sufficienza avremmo trovato una soluzione per tutto. Possibilmente da soli.

Poi è venuto il silenzio di queste lunghe settimane.

Il silenzio in un mondo sempre in movimento, indaffarato, di corsa. Un silenzio che abbiamo dovuto abitare in qualche modo, lasciando da parte, all’improvviso tutti i nostri soliti ritmi, cercando questa volta dentro di noi la forza per vivere un tempo così strano da non sembrare quasi reale. Per qualcuno era il silenzio di chi è stato ricoverato, senza contatto con i propri cari, e senza che loro ne potessero più sentire la voce, vedere il volto, sfiorare la mano. E nemmeno salutare, alla fine.

Per quelli tra voi che lavorano negli ospedali e nelle case di riposo è stato un carico di lavoro quasi sovrumano, e il bisogno di trovare dentro di voi la forza, i gesti e le parole che rompessero quel silenzio, che aprissero ad una lieve voce di speranza, vivendo la distanza dalla casa, dagli affetti, mossi dalla responsabilità di un lavoro svolto con dedizione estrema, convivendo con il timore di essere fonte di contagio.

Per chi ha continuato a lavorare nei servizi essenziali è stato il silenzio del percorso verso il lavoro o di ritorno a casa, nelle strade innaturalmente vuote e accompagnati sempre da un pensiero: «porterò a casa il virus?»

Per i sacerdoti è stato quasi assordante il silenzio nelle chiese in cui non hanno potuto accogliere la comunità, negli oratori vuoti. Neppure hanno potuto assistere i morenti e i soli e accompagnare i cari defunti, se non con riti essenziali e austeri, sempre comunque dignitosi e partecipi.

Alcuni tra voi avevano il peso di decisioni da prendere, o da far rispettare. Per altri c’era il peso di non poter aiutare, di sentirsi inutili e soli. Altri hanno continuato a raccontare quello che succedeva, immagini e parole contro il silenzio dell’estrema insicurezza. La scuola ha continuato a distanza, almeno per chi era collegato in rete (ma troppi mancano, ancora, a questo appello). La solidarietà ha tentato di superare ostacoli vecchi e paure ed incomprensioni nuove.

Ora siamo ripartiti, alcuni più lenti, altri più veloci.

Non c’è più quel silenzio, siamo ritornati a vederci e a parlarci.

Ma abbiamo veramente vinto il silenzio?

Le celebrazioni delle Messe sono tornate in presenza del popolo, come devono essere. Ci sono limitazioni che ci pesano, anche se vi ringrazio di cuore per la grande responsabilità che state dimostrando, con grande spirito civico e cristiano. Riusciamo però a sentire una Parola che vinca il silenzio che abbiamo vissuto? C’è una Parola che risuona ora con più forza nel nostro cuore e nella nostra mente, che ci sostiene, o ci stimola a un cambiamento, o ci sorprende, o ci consola?

Gesù che è stato crocifisso, che è risorto, che vive,

ci ama e non ci abbandona, sta davvero accanto a noi,

tu lo senti accanto a te, noi ci fidiamo insieme di lui?

Lui ha vinto la morte.

Ci credo davvero?

E questa fede cambia la mia vita, la nostra vita?

Ho il profondo desiderio che questo grande ed opprimente silenzio venga vinto nella comunità cristiana almeno – ma che bello sarebbe se accadesse in tutta la società – da un nuovo dialogo e non da vecchio rumore.

Dalla preghiera da soli o in famiglia, dalle Messe a distanza, dalle letture che abbiamo riscoperto, dai faticosi scambi a distanza, dai nostri pensieri in questo tempo dilatato portiamo con noi qualcosa che non vorremmo dimenticare?

L’unico modo per non dimenticare è raccontare. Parlarci e raccontare.

Perché se io racconto e c’è qualcuno che mi ascolta, lui o lei mi sta accogliendo, dimostra che sono importante per lei, per lui e io contraccambio, donando ciò che mi è diventato importante, che mi è servito per vivere. Perché è così che ha fatto Gesù. Per salvarci ci ha raccontato come è il Padre nostro che è nei cieli. Gesù ha portato il cielo sulla terra raccontando le parabole, parlando dei gigli nei campi, dell’amministratore disonesto, del buon samaritano, del figliol prodigo e così via. Ma il grande racconto dell’amore del Padre sono i suoi gesti: Lui che guarisce, Lui che ridona la vista, Lui che allieta una festa di nozze con un vino nuovo, Lui che lava i piedi degli apostoli, Lui che muore sulla croce.

Anche noi possiamo raccontare così l’amore di Dio.

Ed è quello che vi chiedo di fare quest’estate.

Viviamo con serietà e impegno il mestiere e la professione,

siamo attenti e generosi verso chi è più in difficoltà tra noi.

Viviamo l’estate come un tempo di Chiesa. Nel lavoro e nel riposo. Prendendoci cura gli uni degli altri, e tutti insieme dei più deboli, dei più fragili, perché nessuno debba rimanere indietro.

Abbiamo spazi e possibilità per prenderci cura dei ragazzi e dei giovani, degli anziani, delle famiglie.

Dobbiamo farlo in modo intelligente, paziente, responsabile e coraggioso.

Le comunità siano creative e si aiutino tra di loro.

Ora viviamo il tempo d’estate nelle attività possibili, ma anche prendendoci spazi e tempi per il racconto e l’ascolto.

Per le indicazioni su come vivere il periodo di attività che seguirà l’estate ho chiesto lo stesso sforzo di racconto e di ascolto ai consigli e agli organismi della Diocesi. Il Consiglio presbiterale raccoglierà il punto di vista dei sacerdoti, il Consiglio pastorale diocesano quello delle comunità, delle parrocchie e delle collaborazioni pastorali. La Commissione per l’accompagnamento del cammino sinodale sta riflettendo su cosa possiamo prendere con noi di buono del lungo cammino sinodale che la Diocesi ha percorso negli ultimi anni per continuare davvero tutti insieme, come discepoli di Cristo in questo nostro tempo. Sarà importante il contributo dei laici associati e dei fedeli tutti. Ci farà bene sentire l’esperienza delle consacrate, dei consacrati e dei diaconi permanenti. Sarà un guadagno se riusciremo a dare ascolto all’esperienza che stanno facendo i missionari e le missionarie della nostra Diocesi che vivono la pandemia in contesti ben più critici del nostro e che potranno anche condividere lo sguardo e la voce di altre chiese, di altre povertà. Gli Uffici di curia aiuteranno a raccogliere i frutti di questo ascolto.

Se avremo la pazienza di questi passi, senza tornare a correre come se nulla fosse stato, potremo davvero prenderci cura insieme di una società che più che di ri-partire ha bisogno di ri-generarsi, di mettere al mondo vita nuova. Di diventare sempre più umana.

Non possiamo ripartire da vecchi schemi bensì da nuove solidarietà,

non da visioni dell’interesse personale che hanno fatto il loro tempo,

ma dalla comune responsabilità verso questo mondo meraviglioso

e fragile.

Ma tutto questo sarà possibile soltanto, e lo chiedo ancora a tutti noi, se ci fidiamo di Gesù Cristo. Che è stato crocifisso. Che è risorto. Che vive, ci ama e non ci abbandona. E che è fondamento sicuro di una speranza che non delude.

Uniti nella preghiera e nell’amore di Cristo

Treviso, 18 giugno 2020

✠ Michele, Vescovo

 

 

Una preghiera per tutti coloro che sono morti durante questo tempo

Una preghiera per tutti coloro che sono morti durante il periodo di sospensione, durante il lungo blocco di ogni attività e delle celebrazioni eucaristiche comunitarie, tra cui i funerali. Sarà recitata domenica nelle parrocchie, dai sacerdoti e dalle comunità cristiane.

Il Vescovo Michele, infatti, ha ritenuto di porre un segno diocesano, disponendo che nelle messe di domenica 14 giugno, solennità del Corpus Domini, in tutta la Diocesi si ricordino i morti di questo tempo di pandemia, affidandoli al Signore con una preghiera di intercessione. Lui lo farà in cattedrale, durante la celebrazione delle 10.30.

Lo scorso 27 marzo mons. Tomasi aveva fatto una preghiera particolare nel cimitero cittadino di San Lazzaro, da solo (nella foto). Una preghiera e la recita del Rosario meditando la morte in croce e la risurrezione di Cristo, e affidando al Padre tutti coloro che ci hanno lasciato senza che i propri cari e la comunità tutta potesse accompagnarli con la preghiera e la vicinanza. Mons. Tomasi aveva poi invocato lo Spirito perché portasse consolazione a quanti restano nel pianto e nel dolore. Infine, la benedizione delle tombe.

Un gesto di pietà e di preghiera che il vescovo aveva compiuto, in comunione con gli altri Vescovi italiani e con il Papa, e in particolare comunione di fede e di preghiera con la Diocesi di Bergamo, tanto colpita da questo male.

Ecco la preghiera che sarà recitata domenica 14 giugno

 

Solennità del santissimo corpo e Sangue di Cristo

14 giugno 2020

 

O Padre,

noi ricordiamo e ti affidiamo tutti coloro che sono morti e che hanno lasciato questo mondo nel lungo periodo di sospensione.

Preghiamo per i nostri cari che, colpiti dal Coronavirus, non hanno avuto accanto nessun familiare o amico.

Ti lodiamo per tutte le persone – medici, infermieri, operatori socio sanitari – che accanto a loro sono stati professionali e generosi, delicati e pietosi, vicini, talvolta con una preghiera o un segno di benedizione. Sempre profondamente umani.

Ti affidiamo tutti coloro che in questo tratto di strada non hanno potuto avere a salutarli che poche persone. La comunità – anche se distante – era presente in preghiera, e sempre con il sacerdote pastore.

Consola ed accompagna con la tua tenera misericordia chi è rimasto e non ha potuto rinnovare un saluto, chi è stato solo nelle lacrime e nel dolore, e nel rimpianto almeno di uno sguardo, di un tocco, di una carezza.

“Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Essi ti rivolgono il grido stesso del tuo Figlio crocifisso.

Dona loro la grazia di sentire vicino il tuo Figlio risorto, e lo Spirito consolatore ci unisca tutti, nella beata speranza della Risurrezione: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

 

✠ Michele, Vescovo

 

L’eterno riposo dona loro Signore, e splenda ad essi la luce perpetua, riposino in pace. Amen

Io sono la risurrezione e la vita.
Chi crede in me anche se muore vivrà;
e chiunque vive e crede in me,
non morrà in eterno.

Ripresa delle celebrazioni comunitarie: le Disposizioni diocesane

“Stiamo percorrendo strade nuove e per certi aspetti inesplorate, con l’impegno a vivere le nostre assemblee eucaristiche come un’autentica esperienza di Chiesa. La responsabilità per il bene comune ci impone di rispettare indicazioni di natura sanitaria che richiedono alle parrocchie uno sforzo organizzativo non indifferente. La assumiamo in piena disponibilità, consapevoli del valore morale di questo obbligo, assunto a servizio della salute di tutti i cittadini e del bene complessivo di tutta la comunità. Esprimiamo la nostra gratitudine al Signore che ci convoca alla sua mensa e dunque ci offre la possibilità di incontrarci di nuovo con Lui e tra di noi come assemblea”: sono le parole del vescovo Michele Tomasi in apertura delle Disposizioni per la ripresa delle celebrazioni con concorso di popolo. Una fase che comincerà, in tutta Italia, lunedì 18 maggio.

Le Disposizioni danno attuazione al Protocollo predisposto dalla conferenza Episcopale Italiana, esaminato ed approvato il 6 maggio 2020 dal comitato tecnico-scientifico e sottoscritto il 7 maggio 2020 dal presidente della Cei card. Gualtiero Bassetti, dal presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte e dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, e alla Nota del Ministero dell’Interno del 14 maggio 2020.

Il Vescovo, prima di illustrare tutte le attenzioni da avere e le regole da applicare, esprime gratitudine al Signore e sottolinea l’importanza del ritorno alle celebrazioni insieme con “la prudenza e la responsabilità per la salute ed il bene di tutti, soprattutto delle persone più fragili, nella complessa e difficile situazione della «fase 2» della pandemia di Covid-19”. E invita tutti i fedeli, le comunità, i Consigli pastorali, a farsi carico di questa nuova fase, della responsabilità di una partecipazione attiva, paziente e premurosa, accanto e insieme ai parroci, ai quali viene chiesta molta di questa responsabilità.

In questi giorni i parroci stanno provvedendo a calcolare la capienza delle loro chiese, considerando la distanza tra le persone che si deve assicurare (un metro, sia lateralmente che frontalmente), a segnare i posti da occupare, a ripensare il modo di muoversi durante la celebrazione.

Fondamentale è la preparazione e l’organizzazione di un gruppo di volontari che accolgano i fedeli e li aiutino per l’ingresso in chiesa, favorendo la partecipazione delle persone disabili, che verifichino il rispetto del numero di presenze massime consentite, che accompagnino le persone all’interno e poi vigilino sull’uscita, affinché non si formino assembramenti.

Diverse, poi, le proposte per permettere a tutti coloro che lo desiderano di partecipare alle messe. Si va dalla possibilità di attrezzare il sagrato o un altro spazio vicino alla chiesa, ampliando lo spazio disponibile, alla possibilità di aumentare il numero delle celebrazioni, alla pubblicizzazione degli orari delle messe anche delle parrocchie vicine, o della stessa Collaborazione, dove magari ci sono chiese più capienti. Nelle chiese si raccomanda di non superare il numero massimo di 200 presenze, mentre se le celebrazioni sono all’aperto si raccomanda di non andare oltre i mille partecipanti.

“Troviamo insieme i modi affinché nessuno si senta escluso, perché ciascuno possa sentirsi a casa”, l’auspicio del Vescovo.

In allegato le Disposizioni


“Giovani, sognate la vostra vita!” – messaggio del Vescovo per la Giornata di preghiera per le vocazioni

Parlare di vocazione in questo periodo difficile può sembrare un lusso, o una distrazione, oppure un tentativo di pensare ad altro, almeno per un poco.
Si tratta, invece, di prendersi un poco di tempo, per aiutare voi giovani a pensare a ciò che veramente conta nella vita. Nella vostra vita. Si tratta di considerare che cosa abbia veramente valore, e quale sia il valore vero e pieno della vostra esistenza.
“Lasciate sbocciare i sogni, prendete decisioni” (CV, 143), scrive papa Francesco nell’esortazione Christus vivit pubblicata a conclusione del recente Sinodo dei giovani. Nello stesso passaggio egli scrive anche: “Non passate tutta la vostra vita davanti a uno schermo”. Passaggio quasi profetico, in questo tempo dove ancora di più quasi tutte le nostre relazioni e i contatti con il mondo esterno si svolgono – per chi può – tramite computer. Ma il nostro stare davanti agli schermi – e a maggior ragione quello di voi giovani – è ora più di prima la ricerca di contatti veri, reali, per mezzo dello schermo, al di là dello schermo, in vista di rivedersi, quanto prima, faccia a faccia. Per costruire una realtà bella, affidabile, vivibile, sostenibile, abbiamo bisogno di sogni. Abbiamo bisogno di giovani che sognino la propria vita come la risposta a una chiamata, sentita prima in modo un poco indistinto, poi sempre più chiaramente, nella propria mente, nel proprio cuore. Il Papa coglie qualcosa di molto profondo, di molto vero. Per prendere decisioni, queste devono partire da un sogno. Non da un calcolo “costi – benefici”, dalla valutazione di tutte le conseguenze, dai possibili risultati, dalla considerazione delle sicurezze cui si può arrivare in seguito a una decisione. Tutto questo può servire, forse: ma eventualmente in un secondo momento. Prenderai una decisione importante solo quando avrai sognato qualcosa di bello di cui tu sei protagonista. Tu, e tante altre persone che, grazie a te, riescono a essere felici, a dare senso alla propria vita, a fiorire, a spiccare il volo.
Seguire la propria vocazione non vuol dire che qualcuno da fuori ti dice che cosa devi o non devi fare. Seguire la propria vocazione significa che qualcuno ti aiuta a fidarti di te stesso. A cercare davvero che cosa possa fare della tua esistenza quel capolavoro che in potenza è già e che il Signore ha pensato per te dall’eternità. Lo pensa con te, lo pensa assieme a te. Lo ha pensato creandoti e pensandoti per un compito, un servizio, un bene. Lo pensa come una vita donata e costruita assieme, una vita in cui puoi mettere in gioco quanto di bello e di unico tu stai scoprendo nella tua esistenza, e non solamente per te, ma perché attorno a te ci sia sempre più vita piena, e più amore.
Parlare di vocazione, allora, è necessario. Proprio in questa nostra difficile situazione, perché la vita non si può fermare. Perché abbiamo e avremo bisogno di persone che si trovano al posto che occupano perché hanno risposto a una chiamata, e vivono la loro vita come un dono per sé e per gli altri. In ogni professione, in ogni stato di vita. Perché non possiamo rinunciare a un mondo in cui il bene di tutti viene messo al centro dell’esistenza di ciascuno, dove ogni professione cerca di aiutare gli altri a esserci, e a esserci per gli altri.
Perché abbiamo bisogno di papà e mamme che possano creare spazi di bellezza e di accoglienza per i loro figli, in un servizio reciproco che non può essere a termine.
Perché la Chiesa ha bisogno di vite che scoprano la propria bellezza nel dono di sé all’incontro con il Signore Gesù che, vivo in mezzo a noi, vuole continuare a donarsi, anche attraverso di noi. Attraverso di te. Il Signore ha bisogno di uomini e donne che si consacrino a Lui per amore, semplicemente per amore, e che con Lui siano a disposizione come segno, come strumento, come amici affidabili di tutti, senza secondi fini, senza calcoli, senza condizioni. Pensare alla tua vita come la risposta a una chiamata, a una chiamata del Dio della vita, può portarti a qualcosa cui non avevi ancora pensato, ma che poi scopri essere proprio ciò che sognavi, il senso profondo della tua vita.
Ascolta che cosa ti dice la tua chiamata. Ascolta la tua vocazione. Non è tempo perso, tutt’altro. Il sogno di felicità che c’è nel tuo cuore può realizzarsi, e lo può fare quando la tua vita diventa servizio, diventa dono, quando altre persone possono dire: è proprio bello che tu ci sei. Sei un dono grande. Un dono grande alla società, alla Chiesa, alla vita.
+ Michele, Vescovo


Un’economia solidale per la “fase 2”: l’intervento del Vescovo sulla “Vita del popolo”

Nel numero in uscita della “Vita del popolo” il vescovo, Michele Tomasi, propone una riflessione sul tema del “dopo emergenza”, in seguito all’interesse che ha suscitato l’omelia pronunciata domenica scorsa, 19 aprile, durante la messa nel Battistero della cattedrale. Eccola:

“Il tuo grano è maturo oggi, il mio lo sarà domani. Sarebbe utile per entrambi se oggi io lavorassi per te e tu domani dessi una mano a me. Ma io non provo nessun particolare sentimento di benevolenza nei tuoi confronti e so che neppure tu lo provi per me. Perciò io oggi non lavorerò per te perché non ho alcuna garanzia che domani tu mostrerai gratitudine nei miei confronti. Così ti lascio lavorare da solo oggi e tu ti comporterai allo stesso modo domani. Ma il maltempo sopravviene e così entrambi finiamo per perdere i nostri raccolti per mancanza di fiducia reciproca e di una garanzia” (David Hume, Trattato sulla natura umana, 1740, libro III).

Questo apologo di David Hume, famoso filosofo illuminista scozzese del Settecento, può aiutarci a cogliere uno dei dilemmi di fronte al quale ci troviamo in questo momento così delicato e difficile della nostra storia. Condividiamo in maniera evidente come non mai un destino comune.

Non è purtroppo ancora terminata la grande emergenza sanitaria che ha causato tanti lutti, che tanto impegno e fatica sta chiedendo a tutto il sistema sanitario, che impone sacrifici a tutti, individui e famiglie, e già dobbiamo riflettere su come mantenere la solidarietà sociale ed economica che ci ha contraddistinto nella storia e che ancora ci caratterizza.

Ma quello espresso dal dialogo tra i due agricoltori può essere sicuramente un rischio di questo periodo. Giustamente ciascuno si preoccupa per sé e per i suoi, cercando il modo migliore per uscire da questa crisi. Chi costruisce nelle proprie attività, quali che siano, con senso civico, con attenzione alle regole, con spirito comunitario, vorrà continuare a farlo anche in condizioni difficili; chi tende a cavarsela in un modo o nell’altro sarà tentato anche ora di far ricorso a stratagemmi, più o meno onorevoli. Se però non abbiamo motivi di fiducia reciproca, o se le regole da seguire non sono sufficientemente chiare e vincolanti, si rischia il blocco. Il maltempo (nel nostro caso, ahimè, la pandemia) è arrivato, e ora siamo legati gli uni agli altri: quello che di buono sta succedendo, nella capacità di reazione di tutto il nostro sistema, dipende dai legami e dai vincoli di fiducia e di collaborazione che abbiamo stretto sinora. Altrimenti, la tentazione di andare ciascuno per sé diventa probabilmente troppo forte, e rimaniamo esposti alle intemperie.

Non ci salviamo da soli

La situazione ha bisogno di soluzioni solidali, coese, a tutti i livelli. Davvero non ci si salva da soli. Più volte e con forza ce lo ha ricordato il Patriarca di Venezia, richiamando le responsabilità di una risposta unitaria e forte da parte dell’Europa: “L’Europa potrebbe farci vedere in questa emergenza quanto è essenziale, decisiva e importante”.

Si dice che bisogna far ripartire la macchina economica. È vero. Ma l’economia è qualcosa di più complesso e delicato di una macchina. Per usare un’altra immagine, è più un ecosistema, un sistema interconnesso e vitale, perché è, alla fin fine, una rete complessa e articolata di persone. A una macchina puoi cambiare qualche pezzo di ricambio ed essa continua a funzionare, magari anche meglio di prima. Se a un’economia togli una parte, quella parte era un’impresa, una bottega artigiana, un negozio, un operaio, un impiegato. E sempre insieme ad altre persone, i colleghi, i dipendenti, i fornitori, le famiglie. E non è la stessa cosa che dopo la ripartenza ci siano ancora tutti oppure no.

Per aiutare le singole persone, anche e soprattutto i più deboli e i più fragili, ci vuole il contributo di tutti, e ci vuole ora.

Lo Stato e le reti di solidarietà

Lo Stato e i suoi organismi debbono dare tutte le garanzie affinché le persone possano prendersi cura delle proprie attività, affinché non ci siano i drammi di perdite di posti di lavoro, o di chiusure. Ciascuno dovrà garantire, con comportamenti responsabili e affidabili, l’impegno a fare la propria parte, a non tradire la fiducia accordata, anche con sacrifici sugli stili di vita, anche con necessarie scelte di sobrietà. Quello che non viene dallo Stato – o fino a che quanto messo a disposizione non arriva – dovremo metterlo in circolo con grandi reti di solidarietà.

Un ecosistema vitale ha bisogno di tutta la sua diversità, affinché il valore che circola in esso possa arrivare a più persone e famiglie possibile. Il sole che batte sul deserto o su un piazzale asfaltato riscalda solo la superficie e si disperde. I suoi raggi che danno energia a una foresta rigogliosa passano alle piante, a quelle grandi e a quelle più piccole, alle alte e al sottobosco, agli animali di tutti i tipi che vi abitano, a tutte le forme di vita che interagiscono e si alimentano e si sostengono a vicenda. Lo stesso calore si trasforma qui in una vita lussureggiante.

Denaro, beni, servizi, imprese, innovazione, terzo settore

Così è anche per l’ecosistema che è la nostra economia. Il denaro che circola in un’economia differenziata e vitale può fare molta strada e rinforzare molte attività durante il suo passaggio. Abbiamo bisogno di produzione di beni e di servizi, di filiere produttive articolate e interdipendenti, di imprese grandi e piccole, di un’agricoltura che valorizzi il territorio e le sue risorse; abbiamo bisogno di posti di lavoro e di spazi di innovazione e di partecipazione, in particolare per i più giovani; abbiamo bisogno di un terzo settore che sappia rispondere alle necessità dei singoli e delle famiglie con creatività e competenza, abbiamo bisogno di una vita culturale di spessore e di qualità… dobbiamo insieme prenderci cura della varietà delle articolazioni della nostra società.

Toniolo e la cooperazione

Più di cento anni fa il beato Giuseppe Toniolo, un grande trevigiano, mentre era professore di Economia politica all’università di Padova ha scritto un libro dal titolo “Sulla distribuzione della ricchezza”. In esso, tra tanti altri argomenti, prendeva posizione a favore della cooperazione – grande contributo delle nostre terre allo sviluppo di un’economia moderna e solidale – e distingueva fra tre forme di essa, quella di consumo, di credito e di produzione. Se la prima permetteva alle classi lavoratrici e agli artigiani di risparmiare sui consumi, le altre permettevano una circolazione solidale del denaro e una partecipazione ad imprese condivise. Anche allora, forme differenti di collaborazione per mettere a disposizione di tutti i vantaggi del progresso. “La cooperazione intende a favorire e attuare immediatamente l’esercizio dell’industria da parte dei popolani” scriveva Toniolo. L’italiano dell’Ottocento è un po’ distante dal nostro, ma il contenuto credo sia chiaro ed ancora illuminante. Le forme di cooperazione “tutte convergono quindi a creare un ceto di mezzane e minute imprese, che soddisfino in qualche misura all’aspiro d’indipendenza della parte più eletta di lavoratori e colmino l’abisso fra il salariato e i grandi imprenditori” (Giuseppe Toniolo, “Sulla distribuzione della ricchezza. Lezioni”, 1878, 123). Si tratta dunque di un ceto di piccole e medie imprese, oggi aggiungeremmo anche il terzo settore e la grande esperienza del volontariato, come espressione viva della società civile.

Partecipare al bene comune

Anche noi oggi possiamo osare nel trovare forme nuove di collaborazione fra tutti, in proporzione alla dimensione della sfida che ci sta davanti. L’intreccio delle forme di vita sociale ed economica va salvaguardato per garantire a tutti di partecipare in maniera responsabile e dignitosa al bene comune. Questo permetterà anche di integrare tutti quelli che fanno più fatica, per molti motivi, a tenere il passo: ridurre le disuguaglianze è un servizio efficace all’inclusione di tutti, alla condivisione di una vita migliore per tutti noi, al superamento della crisi che stiamo vivendo.

David Hume non aveva una grande fiducia nelle motivazioni individuali in vista del bene comune, e credeva di più a sistemi di regole e a dure sanzioni. C’è certamente bisogno anche di questo. Sicuramente aveva ragione quando descriveva la natura della felicità, allora come ora: “Una solitudine completa è forse il castigo più grande di cui possiamo soffrire, ogni piacere goduto da soli languisce, ogni pena si fa più crudele e insopportabile… Che la potenza e gli elementi della natura obbediscano all’uomo, che il sole sorga e tramonti a un suo cenno, che la terra lo provveda di ciò che gli può essere utile e gradito, egli rimarrà un infelice fino a quando non mettete vicino a lui una persona con cui dividere la sua felicità” (“Trattato dell’umana natura” II, II, 5).

E questo, credo, lo possiamo confermare tutti, in questo nostro tempo di isolamento.

+ Michele Tomasi, vescovo

Gli auguri del vescovo Michele: “Il Signore è veramente risorto! Buona Pasqua”

Il video con gli auguri del Vescovo alla Diocesi. “Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello”. Così cantiamo il giorno di Pasqua nella bellissima preghiera-poesia della sequenza…

Qui il video e, sotto, il testo degli auguri:

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“Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello”.

Così cantiamo il giorno di Pasqua nella bellissima preghiera-poesia della sequenza.

Morte e vita continuano sempre ad affrontarsi nell’esistenza di ogni uomo e di ogni donna, ad ogni curva o tornante della storia.

La morte di tanti, troppi. E il dolore di tante famiglie, che non trova nemmeno una voce.

E poi la morte della paura, della malattia, della solitudine.

Quanti sono quelli che pagano un conto elevato per la diffusione della malattia?

Dicono che sia democratica, ma mi pare che chi aveva già prima meno risorse continui ad averne anche adesso di meno.

Quanta povera gente. Quante piccole e grandi morti quotidiane in questo nostro tempo.

Quanto rischio di egoismo, di solitudine del cuore più che di distanza fisica: ma quanti erano già isolati anche nella folla. I troppo poveri. I troppo ricchi.

Ma anche – ed ecco il prodigio – quanta vita, quante vittorie quotidiane della vita! Quanta forza!

In chi si assume rischi per aiutare e curare gli altri. Negli ospedali. A casa dei più fragili. Sulla frontiera del disagio psichico, dalla disabilità. L’operatore socio-sanitario che fa assistenza domiciliare, chi assiste a casa coloro che hanno problemi di disabilità e chi ha bisogno di cure costanti. Quante mamme, papà, fratelli e sorelle. Chi lavora per garantirci il cibo, i servizi, la sicurezza. Chi sta nelle case di riposo, nelle carceri, nelle strutture di assistenza, nei campi, sulle strade. Le persone consacrate che pregano e ascoltano Dio e i fratelli e le sorelle, apparentemente impotenti, ma ricchi di amore. I preti feriti nel loro amore di pastori.

Perché lo fanno? Perché lo fate? Perché immergersi in tutto questo dolore, se davvero finisce tutto là, se con ogni morte finisce davvero tutto?

Morte e vita, ancora oggi si affrontano in questo prodigioso duello.

Non è un affanno disperato contro il tempo inesorabile. Per quello c’è solo fuga: “mangiamo e beviamo, perché domani moriremo!”. Non è abitudine o senso del dovere – non c’è abitudine che tenga nel dolore, nel sacrificio vero.

“Il Signore della vita era morto e ora vivo trionfa”.

Io credo che sia proprio questo. L’angelo che ha rotolato via la pietra dal sepolcro di Cristo rotola via la pietra delle nostre angosce quotidiane. Ecco perché vi immergete nel dolore.
Ecco perché ne ritornate più vivi, più veri. Con le tracce dell’eternità nello sguardo e nel cuore.

Ecco perché chi ci lascia non cade nel nulla.

Ecco perché è necessario augurarci buona Pasqua.

Perché il Signore della vita
ha donato la vita
perché trionfi la vita.

Se non si può risorgere ogni istante, se non si può risorgere alla vita eterna, a che cosa serve tutto ciò?

Ma il Signore, il servo sofferente, lo sconfitto crocifisso è veramente risorto. È vivo.
Ecco perché!

Ecco perché viviamo. Ecco perché siete come siete.

Grazie!

Buona Pasqua!

+ Michele Tomasi

vescovo di Treviso

Giuseppe uomo giusto, silenzioso e forte, modello di ogni servizio nella cura e nell’abbandono fiducioso al Padre

“Anche noi oggi ci affidiamo all’intercessione di san Giuseppe per non richiuderci nel nostro limite, che in questo tempo tocchiamo con mano a vari livelli; abbiamo bisogno di affidarci a un’intercessione profondamente umana e forte; abbiamo bisogno di aiuto per vivere concretamente l’amore che la fede risveglia in noi; abbiamo bisogno di fatti di Vangelo e di prenderci cura gli uni degli altri”: così il vescovo Michele Tomasi nell’intensa omelia della messa per la festa di San Giuseppe, celebrata questa mattina, in diretta streaming e su Antenna 3 e ReteVeneta, nella cripta della cattedrale di Treviso, dove riposano le spoglie di San Liberale, il patrono della città e della diocesi.

Una celebrazione “a porte chiuse” ma in comunione con tutti, ha sottolineato mons. Tomasi, che nella preghiera per i defunti ha affidato al Signore “in modo particolare tutte le persone morte in questo periodo, che non hanno potuto avere un ricordo, un accompagnamento nella celebrazione delle esequie e che sono accompagnate dalla tua infinita misericordia e dalla nostra preghiera”.

Il Vescovo ha ricordato che il Signore ha voluto il calore di una famiglia per suo figlio, Gesù, verbo incarnato, una mamma e un papà, Giuseppe, uomo giusto, silenzioso e forte.

Ricordando che Giuseppe è definito dal Vangelo come “uomo giusto”, il vescovo ha evidenziato che “i giusti sono coloro che ripongono tutta la loro fiducia e la loro speranza in Dio, che si fidano della Sua promessa di essere per sempre al loro fianco. I giusti vivono pienamente la vicenda di questo mondo, di questa storia, ma sanno che l’esistenza non si richiude nel limitato orizzonte del tempo terreno, ma che essa si apre ad una vicenda carica di eternità; il giusto fa spazio alla logica di Dio nel concreto della sua vita, accoglie, pur nella faticosa e spesso incomprensibile quotidianità, l’irruzione della novità di Dio”.

Il sognatore che dorme sembra lontano dalla vita reale, disinteressato. E invece, ha ricordato mons. Tomasi, “è proprio in questo suo atteggiamento di fiducioso abbandono che si dimostra affidato completamente a Dio, dal Padre celeste riceve il dono della sua paternità terrena, della sua capacità di cura, della presa in carico dei problemi della Chiesa, dell’umanità”.

“E c’è completa continuità tra il sonno – e il sogno – di Giuseppe e la sua vita cosciente, da sveglio. Nel sogno gli viene rivolta la Parola di Dio attraverso l’angelo, il Signore gli parla. Potrebbe essere così anche per noi quando ci mettiamo in ascolto della Parola, quando leggiamo le Scritture, quando come membra vive della Chiesa preghiamo e riusciamo anche a vivere delle esperienze in cui ci pare di aver colto qualcosa della sua volontà per noi”. Giuseppe si desta dal sonno, torna alla vita concreta, reale. Potrebbe considerare le indicazioni dell’angelo un abbaglio, solo un sogno, appunto. E invece – ha ricordato il Vescovo – “fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore. In lui che fa puntualmente quanto gli viene detto la Parola si realizza, tutto avviene secondo la volontà di Dio. Nel suo caso, si tratta della custodia sponsale e paterna di Maria e di Gesù: la storia della salvezza dell’umanità in Cristo Gesù è resa possibile da questa sua silenziosa, ferma, costante perseveranza nella fedeltà alla Parola di Dio. La storia diventa il luogo in cui si realizza la volontà di Dio.

Una parola di gratitudine e di incoraggiamento il vescovo Michele l’ha avuta per le persone oggi in prima linea in questa emergenza. Ricordando le qualità di Giuseppe, ha affidato a lui, infatti, “la fatica, la forza, il coraggio di tutti coloro che stanno impegnandosi al limite e anche al di là delle proprie possibilità per il bene di ciascuno e di tutti. Abbiamo bisogno di pregare l’intercessione di San Giuseppe, di chi ha vissuto per servire, affinché accompagni chi sta a servizio di tutti in questo momento di prova”.

Mons. Tomasi ha anche ricordato san Giuseppe come patrono dei lavoratori: “Accompagni con il suo esempio di operosità concreta e forte coloro che in questo momento continuano a lavorare, pur nelle incertezze della situazione, affidiamo al suo sguardo tutti coloro che vivono la precarietà del proprio lavoro. Non perdiamoci d’animo, per contribuire a trovare i modi e i luoghi in cui impegnarci, nel lavoro o nelle attività di volontariato, per il bene della società e di ogni persona. Abbiamo bisogno – il nostro mondo ha bisogno – di uomini e donne che vivano l’amore che hanno ricevuto in dono, che lo vivano gratuitamente, senza sconti o compromessi. Abbiamo bisogno di fedeltà alla vita, anche solo – oggi soprattutto – nella quotidiana fedeltà a quanto ci viene richiesto per il bene comune, consapevoli che possiamo essere nel nostro piccolo anche noi custodi silenziosi, forti e fedeli della vita di tutti”.

 

Messaggio del Vescovo per il Mercoledì delle Ceneri e la Quaresima

Cari fratelli e sorelle in Cristo,

questa mia prima Quaresima in mezzo a voi incomincia in modo del tutto inaspettato. La diffusione del Coronavirus (COVID-2019, così viene chiamato ufficialmente) richiede a tutti i cittadini nella nostra regione, in tutto il Paese, e quindi anche alla comunità cristiana della nostra Diocesi di comportarsi in maniera responsabile per permettere di bloccarne il contagio. Per questo anche la Diocesi segue con fiducia quanto deciso dalle pubbliche autorità con le indicazioni date a tutti nella giornata di domenica scorsa.

Vi assicuro che non è certo a cuor leggero che la diocesi ha stabilito la “sospensione della celebrazione pubblica di S. Messe, incluse quelle del Mercoledì delle Ceneri e domenicali, e di sacramenti (compresi Battesimi, Prime Comunioni e Cresime), sacramentali, liturgie e pie devozioni quali la Via Crucis”. La celebrazione dell’Eucaristia, la preghiera e l’ascolto della Parola comunitarie, l’incontro tra fratelli e sorelle nelle varie forme sono dimensioni fondamentali della nostra vita di discepoli di Cristo. Questo momento in cui vi chiedo di rinunciarvi ci fa sperimentare con dolore, ma anche con la sorpresa di chi scopre qualcosa di nuovo ed inatteso, quanto tutto ciò ci sia importante e necessario per la nostra vita, al di là di ogni convenzione o abitudine.

Ma è proprio ora che ci risulta chiaro ed urgente il bisogno della preghiera, del rapporto fiducioso e filiale con Dio Padre, l’affidamento a Cristo nostro Signore e fratello, l’invocazione dello Spirito che ci sostiene con il suo soffio di vita. Prendiamoci pertanto con più impegno, in questi giorni “speciali” che pure ci introducono nella Quaresima, del tempo per pregare, là dove siamo, così come siamo, a casa, in famiglia, da soli. Siamo legati e uniti tra noi nel Signore e Lui non ci lascia mai da soli. Questa forzata rinuncia ci faccia scoprire quanto sia importante l’incontro dell’assemblea dei cristiani e ci spinga in futuro a ritrovarci con gioia e gratitudine.

I sacerdoti che celebreranno senza l’assemblea lo faranno per tutti e tutti potranno partecipare con la preghiera e nello spirito alla celebrazione del sacrificio di Cristo: il Signore risorto è vivo ed è presente tra noi.

Prendiamoci dei momenti da dedicare alla lettura delle Scritture, alla meditazione e all’ascolto della Parola di Dio. Come ho già ricordato nella lettera in occasione della giornata della Parola, “nelle Scritture è Dio che ci parla”. In comunione con tutte quelle chiese in tutto il mondo dove spesso non è possibile la celebrazione dell’Eucaristia, facciamo esperienza dell’ascolto del Dio vicino che parla con noi, che si comunica a noi, che continua a riunire la sua Chiesa nell’amore.

Preghiamo allora per le nostre necessità, per i piccoli e i poveri, per le persone sole che rischiano più di altre di portare il peso di questo momento difficile. Preghiamo per i medici e per tutto il personale sanitario, cui diamo la nostra fiducia ed il nostro sostegno. Il libro biblico del Siracide ci ricorda infatti: “Onora il medico per le sue prestazioni, perché il Signore ha creato anche lui. Dall’Altissimo infatti viene la guarigione, e anche dal re egli riceve doni” (Sir 38, 1-2). L’affidamento alle indicazioni dei medici è partecipazione alla fiducia piena in Dio, perché la loro opera fa parte del dono della creazione.

Preghiamo anche per chi deve prendere difficili decisioni per il bene comune, per tutti i nostri amministratori, perché ricevano fortezza e sapienza, come già ci insegna l’apostolo Paolo: “raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio” (1 Tim 2, 1-2).

Vi accompagno tutti con la mia preghiera, e con voi mi affido al Signore nostro Dio, amante della vita. La comunione tra noi che il Signore ci dona sia forte e ci sostenga. Continuiamo a prenderci cura gli uni degli altri, rimaniamo solidali con tutti e chiediamo il dono della speranza, contro ogni paura che ci possa colpire.

Poniamo in questa Quaresima gesti concreti di conversione, di rinnovamento della nostra vita. Camminiamo insieme verso la Pasqua, glorifichiamo il Signore con la nostra vita.

 

Treviso, Mercoledì delle ceneri 2020

 

+ Michele, Vescovo